domenica 7 giugno 2015

I Friarielli

Cime di rape, broccoletti, rapini, broccoli di rape, friggiarelli. Chiamateli come volete, ma non sono la stessa cosa.

A differenza di quanti sostengano che l’etimologia del termine provenga  dallo spagnolo "frio-grelos" (broccoletti invernali) ,  a noi Napoletani piace pensare che questi derivino dal verbo napoletano  “frijere “(friggere).

I friarielli, quelli veri, vengono coltivati solo nel napoletano, una volta nello stesso capoluogo, sul  “monte friariello” una  collinetta nei pressi del vomero, oggi , invece, soprattutto nella provincia Nord-Est.

Già in passato tantissimi italiani si interessarono a questo alimento. In tutto lo stivale venivano bolliti, lessati, qualcuno li cuoceva al forno. I Toscani le chiamavano carinamente “rapini”, i baresi li cucinavano con le orecchiette. In tutte le tradizioni, insomma,venivano accompagnati da altri alimenti.

A Napoli no. A Napoli, le cime di rapa prima si lavano, e poi, tutte bagnate, si gettano nell’olio. Con il loro sacrificio danno vita ad uno dei piatti più creativi della cucina partenopea: i friarielli. Questa specie di cime di rapa cotte nell’olio bollente.

L’olio e la frittura però vengono dopo. Prima bisogna dedicare la propria attenzione alle cime di rape. Che vanno raccolte al momento giusto: i fiori devono esserci già, ma non devono essersi ancora aperti. Ma non preoccupatevi troppo: a scegliere le cime di rapa più adatte a diventare friarielli ci pensa il  “verdummaro” (l’ortolano); a meno che non vogliate mettervi dalla parte dell’orto.

A voi potrebbe toccare il compito di “ammonnarli”: cioè di mondarli delle parti non utilizzabili per la frittura. E’ un altro momento importante, perché vanno lasciate solo le foglie più tenere, insieme a un po’ di gambo: non troppo, ma nemmeno troppo poco.

Solo a questo punto si buttano nell’olio bollente ed avranno l’onore di diventare friarielli.

Fuori Campania non se ne trovano. Né nei mercati, né nei ristoranti,. Ad eccezione di quei pochissimi locali che li ordinano direttamente a Napoli, insieme ad altre  materie prime (pomodori, mozzarella di bufala, Provolone,). Ed è lì che pizza e friarielli si ritrovano di nuovo insieme, per la gioia del napoletano emigrato, ma sempre grato alla sua terra per quello che gli dà.

Il friariello si sposa meravigliosamente se cucinato in una casseruola insieme alle salsicce. Un binomio idilliaco che io, da Napoletano, consiglio a tutti gli esseri umani. Mia nipote di 4 anni ne va pazza.

I  “i friarielli” meritano tanto, forse di più che questo semplice articolo e cosi ho deciso di dedicargli questa poesia che ho trovato in rete:

 

 ‘A guagliona, era na’ rapa.

Nun teneva proprio capa;

quanno jeva dint’a scola

nun capeva ‘na parola.

“Quanto soffro, nun se sape

(s’a chiagneva, ‘a cim’e rape).

E’campà nun me ne firo..

Sa che faccio? I’ mò m’acciro!”

Ditto nfatto, ‘a copp’o scuoglio

se menaje pe dint’all’uoglio.

Ma chest’uoglio era vullente.

Che dulore, che turmiente!

“E mò sì, ca songo fritte!”

“Vrucculè, stateve zitte!

Ora site assai chiù belle:

diventaste friarielle!”

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